I Transistor : La seconda generazione
Alla apparizione dei primi elaboratori elettronici, gli stessi
esperti valutarono inizialmente che solamente quattro o
cinque grandi industrie degli Stati Uniti avrebbero potuto
essere realmente interessate al loro impiego.
Nel 1951, invece, nasce il primo elaboratore elettronico
costruito in serie e si assiste ad una notevole proliferazione
di queste macchine, via via favorita dall'introduzione di
nuove tecniche, di nuove unità e di nuovi metodi di
programmazione.
Nel 1953 il numero di elaboratori impiegati in tutto il mondo è salito a circa 100 unità.
Nel 1958 i soli Stati Uniti dispongono complessivamente di circa 2500 esemplari.
In Italia il primo elaboratore elettronico viene installato
nel 1954 al Politecnico di Milano e solamente nel 1957 si ha
il primo utilizzo di questa macchina in una azienda.
Nel 1958 sono installati in Italia una decina di elaboratori, che si affiancano a circa 700 impiegati meccanografici.
Alla fine della Prima Generazione, alla fine degli anni 50, gli elaboratori elettronici hanno conquistato la fiducia dei
propri utilizzatori. Considerati all'inizio più come strumenti di calcolo adatti alle ricerche universitarie che macchine
utili alle esigenze operative di enti ed aziende per la loro capacità di elaborare informazioni in senso lato, gli
elaboratori superano via via le limitazioni dovute a tecniche costruttive e di programmazione poco raffinate.
Il loro impiego non rappresenta più una "avventura" per le aziende e
gli enti che li installano, ma risponde ormai a una necessità per risolvere
i vari problemi operativi.
Verso la fine degli anni 50 i tubi a vuoto vengono completamente sostituiti
dai Transistor.
Nasce così quella che è riconosciuta come la "seconda
generazione" di elaboratori elettronici.
Con l'impiego dei transistor e con il perfezionamento delle macchine e dei
programmi, l'elaboratore diventa più veloce e più economico e si diffonde
in decine di migliaia di esemplari in tutto il mondo.
Sotto la spinta della mutata situazione economica generale, della crescita
continua delle imprese, dell'introduzione di nuove tecniche di organizzazione
e di direzione aziendale, si passa da un utilizzo prevalentemente contabile e
statistico ad applicazioni più complesse che investono tutti i settori di attività.
Realizzato nel 1948 dagli americani J. Bardeen, W. M. Brattain e W. Shockley,
che meritarono per questa scoperta il premio Nobel, il transistor è un dispositivo
elettronico costituito da un cristallo di silicio o di germanio in cui vengono
opportunamente introdotti atomi di materiale diverso.
Per certi valori della tensione elettrica cui è sottoposto, esso ha la capacità
di trasmettere o meno la corrente, e quindi di rappresentare l'1 o lo 0 che sono
riconosciuti dalla macchina.
Rispetto alle valvole, i transistor presentano numerosi vantaggi: hanno un
costo di fabbricazione nettamente minore ed una velocità dieci volte maggiore,
potendo passare dallo stato 1 allo stato 0 in pochi milionesimi di secondo.
Le dimensioni di un transistor sono di alcuni millimetri rispetto ai parecchi
centimetri di un tubo a vuoto.
Anche la sicurezza di funzionamento viene aumentata perchè i transistor,
operando "a freddo", evitano le rotture per riscaldamento che erano
abbastanza frequenti nelle valvole.
Vengono così costruite macchine con decine di migliaia di circuiti complessi
contenuti in uno spazio ridotto.
Fra i sistemi della seconda generazione ricordiamo l' IBM 1401, che fu
installato dal '60 al '64 in più di centomila esemplari, monopolizzando
circa un terzo del mercato mondiale.
In questo periodo c'è anche l'unico tentativo italiano: l'ELEA della Olivetti
prodotto in 110 esemplari.
Il notevole sviluppo degli elaboratori e delle loro applicazioni in questo
periodo non è dovuto solamente alle caratteristiche della CPU (Central
Processing Unit), ma anche ai continui perfezionamenti apportati alle memorie
ausiliarie ed alle unità per l'immissione e la emissione dei dati.
Le memorie a dischi, mediante l'impiego di una serie di testine a pettine,
sono capaci di registrare decine di milioni di lettere o cifre.
Più unità possono essere collegate contemporaneamente all' elaboratore,
portando così la capacità totale di memorizzazione a diverse centinaia di
milioni di caratteri.
Accanto ai dischi stabilmente collegati con l'unità centrale si introducono
delle unità in cui le pile di dischi sono mobili e possono essere facilmente
sostituite con un'altra pila in pochi secondi. Anche se la capacità dei dischi
mobili è minore rispetto a quella dei dischi
fissi, la loro intercambiabilità assicura una capacità praticamente illimitata
di dati pronti alla elaborazione.
Gli elaboratori della 2ª generazione, mediante uno speciale dispositivo per
lo smistamento dei dati al loro interno, sono in grado di sovrapporre
diverse operazioni, cioè contemporaneamente di leggere e perforare schede,
eseguire calcoli e prendere decisioni logiche, scrivere e leggere le informazioni
su nastri magnetici.
Per potere assicurare lo scambio continuo di informazioni tra il centro e la
periferia, nascono le unità terminali con il compito di trasmettere i
dati all' elaboratore centrale che si trova anche a centinaia di chilometri
di distanza grazie ad un collegamento mediante linea telefonica.
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